SEDUTA di Emanuela Nardo



 A San Francisco c’era un uomo, uno di quei barboni che affollano le strade, ne avevo letto qualcosa sulle guide, è una città davvero piena di senzatetto ma sono innocui, avevo letto anche questo. Le persone passano vicino a questi scarti di Dio o della società, dipende da cosa si preferisce, io sinceramente per quanto non abbia mai visto Dio, ho visto un po’ la società e spero davvero che siano solo come quei pezzi fuori produzione ma che negli anni diventano pezzi unici che costano un sacco di soldi. Sarebbe bello se anche delle persone si potesse dire che sono vintage come degli oggetti “fuori moda”, sarebbe bello se anche alle persone fosse data la possibilità di essere vintage. Questa è una visione romantica me ne rendo conto.
Comunque c’erano tanti barboni ed erano per lo più barcollanti con gli sguardi spenti dall’alcool, le braccia strette al petto accasciati su qualche muretto, un marciapiede a terra ad aspettare. Non so bene cosa stiano aspettando perché molti di loro non chiedono neppure soldi, o almeno a me è capitato che non me ne abbiano chiesti direttamente ma solo con qualche cartello ma alcuni davvero non chiedono nulla. Non parlano e fissano l’asfalto. Stanno solo lì ad aspettare e per quanto le persone si sforzino di non vederli, io credo che siano loro i primi a non vedere la gente che passa. Attraversano la strada incuranti del traffico. Camminano senza cambiare mai direzione dritti di fronte a loro o aspettano accovacciati tutti i giorni nello stesso luogo, ed è in fondo la stessa attesa che abbiamo tutti, solo che cerchiamo di riempirla con un lavoro di merda e qualche delusione intervallata da pochi momenti di serenità. La felicità poi ancora più rara.

Dove vuole arrivare precisamente?

Non sto dicendo che preferirei fare la barbona a San Francisco, sto dicendo che a guardarli provavo sentimenti contrastanti.

Di che genere? Si spieghi meglio.

Vengo da una realtà piccola e chiusa su se stessa; diciamo che l’iniziale paura di cosa potessero fare è mutata in compassione mista a un profondo senso di colpa.  Due uomini mi hanno colpito più degli altri: il primo l’ho incontrato più volte nei giorni che sono stata in città, si vede che trascorre abitualmente il tempo in quelle zone, un uomo di colore che strascicava i piedi esattamente al centro del marciapiede, portava una maglietta nera e dei pantaloni neri, i folti capelli erano come ammucchiati in cespugli secchi e sporchi, la testa leggermente inclinata verso il basso. Potevi incontrare il suo sguardo ma non ti avrebbe mai ricambiato; era l’unico che mi incuriosiva e mi metteva a disagio perché così improvvisamente e senza un apparente motivo cominciava a dimenarsi lungo la strada mimando i gesti di un combattente di box; un gancio destro e poi il sinistro, dritto di fronte a sé, qualche colpo al costato movimenti veloci e precisi e poi di nuovo quella camminata trascinata sull’asfalto. Non sembrava una caricatura di qualcuno o qualcosa; era come se per qualche secondo si svegliasse dal torpore e diventasse un altro. Lo sguardo allora si faceva minaccioso e fisso sull’avversario. Quando gli ho visto fare quella mossa la prima volta ho pensato che potesse avere qualche malattia mentale o che fosse schizofrenico, capisce?

La schizofrenia presenta spesso le allucinazioni, dal suo racconto sembra che quest’uomo vedesse chiaramente di fronte a sé il suo rivale su un ring immaginario.

Ecco tornata a casa ho pensato a quest’uomo e mi sono sentita come lui, o meglio ho pensato di essere anche io una “combattente dell’aria”. Tutte le volte che cerco di svegliarmi dal mio torpore, dal loop dei miei pensieri simil ossessivi, cerco di combattere la mia piccola battaglia per cambiare le cose ma combatto contro il vento, e come quell’uomo senza il dolore sotto le nocche, la vista del sangue, il suono delle ossa rotte mi rendo conto che non ho colpito nulla e a nulla è servito il mio spreco di energie, così torno nel mio torpore originario, a strisciare i piedi sull’asfalto.

Lei quindi si sente come quest’uomo che combatte davanti a sé un nemico che non vede e non può toccare?

Io sento di combattere in continuazione un nemico che non posso battere.

Quando parla di nemico a cosa si riferisce? mi spiego mi dica cosa intende come nemico.

Il nemico è tutto ciò che non posso controllare: è il mio bisogno degli altri, è il loro rifiuto, sono i complessi che mi metto da sola guardando quelle che mi sembrano le felicità altrui, è il mio desiderio di rivalsa sulle persone che mi hanno fatto del male in passato.
Mi scusi, ho bisogno di un fazzoletto, queste cose mi smuovo dentro.

Faccia con comodo.

 Improvvisamente come mi succedeva spesso anche in passato, ogni volta che vomitavo i miei rancori deliranti verso il mondo, mi sento svuotata e priva di forze, solo una forte nausea per la piccola stanza, per la donna di fronte a me, per l’unico fazzoletto impregnato di muco e lacrime della mia borsa. Solo una forte nausea ricopre le pareti e le persone. La mia nausea e il desiderio di andare via. Andarmene sbattendo la porta, magari serrandola con quella donna dentro e tutto il mio vomito. E poi dopo la nausea nebbia. Non riesco più a sentire le parole che la donna davanti a me sta pronunciando, i miei occhi vagano alla ricerca di qualcosa di tangibile che possa riportarmi indietro. La nuova tinta della dottoressa, le sue caviglie sottili, la scrivania in legno, la foto della figlia in abito da sposa, il tavolinetto accanto alla sua poltrona con sopra il cellulare illuminato.
Poi penso all’altro uomo che mi aveva colpito, un senzatetto con le gambe avvizzite e la pelle cadente, consumata dal sole, e da chissà qualche malattia che gli procurava una sorta di pustole sui polpacci, lo vedo sulla sedia a rotelle che delira qualcosa in inglese mentre un poliziotto e un paramedico cercano di convincerlo a salire sopra l’ambulanza. Anche se non c’entra nulla o forse solo per la pelle che cade dalle gambe quell’uomo mi fa pensare a mio padre, e non posso fare altro che irrigidirmi e tentare di intrufolarmi in qualche via della china town di San Francisco dove gli odori sono pungenti e le bancarelle affollate distolgono i miei pensieri da un uomo seduto non su una sedia rotelle ma su un divano e circondato da cose, accatastate alla rinfusa, accumulate per nascondere qualcosa di profondo, di non detto. Ogni oggetto seppur nuovo gettato senza uno scopo da un lato del salone ha una tristezza intrinseca inseparabile, entrare in quella casa è come attraversare uno spesso strato di vernice tonalità disagio con una punta di folle tristezza e tenersela addosso, come appiccicata alla pelle per giorni e notti lunghissime. Entrare in quella casa è come mettersi davanti al senza tetto boxeur e urlargli “colpisci me, attacca me”. Ma tutto questo è presto per questa donna, di queste e di altre solitudini non so se ne parlerò mai con lei.

Mi stava descrivendo la sua concezione di nemico, dobbiamo fare in modo di ridimensionare quello che va ridimensionato e andare a capire il perché di altri aspetti, come cosa significa per lei avere bisogno degli altri e perché non vuole averne bisogno, il fatto che lei associ al rifiuto molte delle cose che le accadono ma in qualche modo lei sta combattendo verso se stessa e questa è una battaglia che non può vincere, ci si fa solo del male, non ci si può svincolare da se stessi.
Io le posso offrire il mio aiuto per cercare di affrontare ciò che la fa stare male, potrebbe non essere la strada giusta. Alcuni fanno corsi di yoga c’è chi prova con la meditazione. Io le propongo un percorso per cercare di scardinare le sue paure e riequilibrare il più possibile la sua persona perché lei ora ha il lato emotivo che è ancora fortemente in subbuglio e si vede dalle sue reazioni e quello razionale che invece è già andato oltre ma hanno tempi totalmente diversi e bisogna rispettarli. Rifletta sul da farsi, io per ora non le do un altro appuntamento, preferisco che sia lei a chiedermelo, perché si renda conto del percorso e del carico emotivo che dovrà sopportare e affrontare per aprire piano piano, quei cassetti che ha serrato nel tempo. Io la aiuterò a farlo guidandola ma ribadisco sulle sue spalle ricadrà un forte peso, proverà fastidio e paura e quando non si sentirà di affrontare un argomento basterà dirlo e ci fermeremo. Alcuni dolori, alcuni traumi vanno affrontati piano piano, non bisogna farsi sommergere dall’emotività altrimenti si rischia di rimanerne affogati. Ora vorrei chiederle lei è contraria all’uso di farmaci?

Mi irrigidisco, il mio preconcetto e la mia rigidità non possono che associare la parola farmaci a mia madre e a mio padre che le urla “tu sei pazza come tua madre”, quindi a mia nonna e così via, una bella discendenza di fuori di testa tutta al femminile.

Ho preso alcune gocce di un farmaco in passato di cui non ricordo il nome ma solo in momenti davvero molto critici, preferirei non prendere nulla perché ricordo che mi imbambolavano e mi facevano sentire priva di emozioni, priva di controllo, spenta… preferirei non prenderli.

Le dico questo perché qualche goccia può essere utile nei casi in cui si deve riequilibrare la serotonina, per stare su diciamo nei momenti più critici, una decina di gocce non crea danni ma aiuta a stare meglio, a calmarsi un attimo.

Io preferirei qualcosa di naturale.



 SULL' AUTRICE
 Emanuela Nardo vive a Bologna, ha pubblicato per Fernandel il racconto “Sembra un giovane puledro” nell’antologia “Cadute” , per Historica Edizioni nella raccolta racconti bolognesi “Il caffè degli artisti”, ha collaborato con Carla Marino al racconto “Trio” nell’antologia “Fucsia” edita da Clown Bianco, ha vinto il premio di giuria per il concorso la Citta di parole IV edizione


Commenti

  1. racconto davvero notevole che dimostra come "letteratura" si possa fare nei più diversi modi, col resoconto di viaggio, con lo "stenografico" di una seduta di analisi, con una pagina di diario, (oppure mescolando insieme questi tre generi) a patto che, come qui, si posseggano le parole giuste, il clima e il modo ("i pezzi fuori produzione" riferita ai senzatetto è un'immagine fortissima, accompagnata dalla speranza che diventino "vintage". Come pure "il combattente dell'aria" a descrivere l'altro barbone.
    massimolegnani
    (orearovescio.wp)

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